Lievito madre, una storia , una leggenda
Lavorazione del pane
…dal racconto di Giovanni Tancredi[1]
[…] Preparazione del lievito — lu crescente
La sera precedente alla lavorazione del pane, verso un’ora di notte, si prepara il lievito o fermento. In un Kg. di farina si mettono un paio di once, cioè una cinquantina di grammi di lievito che, sciolto con acqua calda, si intride con la farina in modo da formare un pastone, il quale, avvolto in panni caldi è messo sotto il materasso a piedi del letto, oppure, se è d’inverno, sotto la coperta di lana con sopra i guanciali per farlo inacidire ed acquistar la fermentazione necessaria per la panificazione.
Preparazione delle patate — lli ppatène
Contemporaneamente al lievito si preparano le patate, che si fanno cuocere per lo più nel calderotto, lu seccketidde, indi si mondano, ci’ammonnene, e si schiacciano, ce sfanne, col piatto.
[…] Lavorazione della pasta — tumbrè
Poco dopo la mezzanotte, la massaia, disposta in cerchio la farina nella madia, nella parte centrale di esso, ‘ntlu camine, stempera prima il pastone di patate (quattro Kg. di patate su quaranta Kg. di farina) con acqua calda salata già preparata in un boccale (circa un Kg. di sale sciolto in due litri di acqua) poi il lievito (un Kg. d’inverno, circa tre quarti di Kg. di estate) ed a poco a poco impasta la farina, la quale, intris con acqua calda, è resa soda e duttile col lungo rimenarla nella madia con le mani ora aperte ora serrate in pugno, pli scucuzzune, fino a quando la pasta si gonfia e diventa…?…, luffiesce pli vesciche.
Spesso con la radimadia, durante la lavorazione, si separa la pasta dalla madia. L’intera massa della pasta si copre, ci’ammocce, con panno fino bianco o colorato, di lana e con guanciali, per un paio d’ore nella stagione estiva e circa tre in quella invernale, quando spesse volte, dato il freddo intenso, per far bene lievitare la pasta si mette il braciere con del fuoco presso la madia. Prima di coprire la pasta si fanno diversi segni di croce perché fermenti bene e sollecitamente.
In seguito si divide tu massa pastosa in pezzi più o meno grandi e si appanano, ce resinene, sulla spianatoia, lu taulire, riducendoli in pani rotondi, li ppanell, i quali pesano cinque, sei, fino a quattordici chilogrammi. […]
[…] Messi i pani sull’asse, la taule dlu ppene, mandata dal fornaio e coperti con un telo si fanno riparare. Indi si mandano nei forni pubblici, i quali sono riscaldati con grossi tronchi di legname dalle ore due. Anticamente cominciava a riscaldarsi il forno a iurne (verso le quattro destate e verso la sei d’inverno) e si sfornava
fino a 24 ore. […]
…e nei miei ricordi…
I miei ricordi adolescenziali hanno l’odore del buon lievito madre che inondava la grande cucina della casa paterna di mia nonna a Vico del Gargano. Ogni settimana si panificava per la famiglia ed anche per i contadini che abitavano la casa rurale del grande oliveto. D’estate si panificava con un po’ più di farina. Chi arrivava amava gustare quel pane, spruzzato con i piccoli pomodori dell’orto, origano profumato rigorosamente colto verso Monte Pucci ed inzuppato di quell’olio denso degli oliveti della casa, dal sapore unico.
La panificazione era un lavoro delle donne di casa, un impegno molto faticoso.
Durante la settimana si panificava nelle case del paese e le donne usavano passarsi il lievito madre di casa in casa.
Il lievito doveva essere freschissimo, ben cresciuto e profumatissimo, di un odore acido inebriante. Se non aveva queste qualità, mia nonna era solita rimandarlo indietro e cercare un’altra fornitrice.
Fare il pane era un vero e proprio rito. All’imbrunire Sabina, la domestica di casa, prendeva questa pagnottella ben soda del lievito madre, che aveva tutt’intorno una crosta secca e con decisione, con l’aiuto di un cucchiaio di legno molto spesso, frantumava la parte esterna, rivelando l’interno di una bella pasta giallo paglierino, bel lievitata dal forte odore acido.
Nella grande cucina vi era una madia poggiata su un grosso treppiedi, dove Sabina poneva il lievito madre, aggiungeva della farina, dell’acqua calda e un po’ di sale e lavorava il composto rendendolo bello liscio per farlo riposare una mezz’ora. Passato il tempo necessario, il composto lievitato veniva spezzettato e aggiunto, quanto bastava, alla quantità di farina necessaria per ammassare la quantità di pane per tutta la famiglia e per un’intera settimana.
Nella lunga madia, braccia robuste di più donne iniziavano a lavorare la farina con acqua calda e sale, formando un impasto dalla forma allungata che veniva pigiato ripetutamente alternando i pugni, sollevato e ripiegato su se stesso ed ancora pigiato e pigiato, fino a quando la pasta produceva delle classiche bollicine scoppiettanti. Allora l’impasto era pronto. Si copriva la madia con un gran telo di lino bianco e si faceva lievitare l’impasto profumato del buon lievito, tutta la notte, fino alle prime ore del mattino. Di solito erano sempre tre le donne che all’alba scoprivano il telo di lino bianco custode dell’impasto ben lievitato ed iniziavano a formare delle pagnotte di pasta che adagiavano una ad una in larghi canovacci di lino bianco, ben infarinate, lasciate a lievitare ancora per qualche ora.
Intanto c’era chi si occupava di accendere il forno e quando la fiamma scoppiettante per il crepitio dei rami d’ulivo annunciava che la temperatura era giusta per l’infornata, le pagnotte venivano ”scanate”, ossia infarinate e aggiustate nell’ultima forma, mentre con una lametta affilata si producevano due tagli orizzontali e due obliqui. L’infornata era velocissima sempre con l’aiuto di una pala. Quindi, raggiunto il calore uniforme del forno per la cottura del pane, veniva pulito il fondo del forno dalle braci infuocate con una piccola scopa di saggina fino a renderlo pulitissimo per depositare le forme di pane da cuocere.
Con una pala ogni forma di pagnotta veniva adagiata sulla base di pietra incandescente. Controllate a vista le pagnotte venivano cambiate di posizione da zona calda a meno calda per una perfetta cottura.
La prima pagnotta cotta che usciva dal forno, scandiva un momento sacrale, era quasi una festa. C’era chi con il pollice controllava la cottura ed allora il profumo di buono che riempiva la cucina era, ed è ancora per me, la combinazione di momenti semplici ed emozionanti. Il pane, sarà per me, sempre quel pane, dal profumo acido-salato del lievito madre, e l’odore inebriante della pagnotta cotta, frutto di lievito, farina e acqua, alchimia culinaria ancestrale, che definisce l’uomo persona, come Omero dice, mangiatore di pane.
La leggenda della storia della panificazione
Buono come il pane, la dice tutta sulla bontà e l’importanza che questo alimento rappresenta nella storia dell’umanità.
Legato a tradizioni, le più antiche, il pane troneggia sulle tavole dei commensali, nelle più svariate forme e consistenze, pronto a donarsi per soddisfare i palati dei buongustai affamati questo prezioso alimento invoglia alla buona tavola anche con il suo profumo fragrante ed esalta il buonumore. L’impasto per il pane ha, nella sua trasformazione chimica, qualcosa di meraviglioso. Farina e acqua, crescenza, sale, sono gli elementi semplici che danno origine al composto di pasta lievitata, meraviglioso nella sua semplice complessità, soffice e spugnoso, dalla profumazione leggermente acidula. Il pane si rappresenta nelle sue molteplici identità. E nel suo gioco sottile di gusti, si presta agli sfizi, mettendo in campo diversi profumi, sapori e consistenze.
Se c’è il pane la fame è scongiurata. Durante il secondo conflitto mondiale, gli ebrei del ghetto di Varsavia furono sottratti a morte per fame grazie al pane che venne passato loro di nascosto. I pastori portano nelle loro bisacce sempre del pane e del companatico. Ai soldati combattenti nei due conflitti mondiali non mancava mai la razione di pane che veniva fatto in appositi forni messi in piedi nelle retrovie. Pagnottelle, panini e focacce sono sempre il corredo di cibo durante gite e lunghi viaggi. Non c’è alimento più semplice che si presta ad essere trasportato senza deteriorarsi e che assicura un pasto soddisfacente per la fame oltre che particolarmente gustoso.
La panificazione ha comunque una leggenda nella sua storia.
Pare che fu solo verso il 3500 a.C. che alcuni servi egizi scoprirono accidentalmente la fermentazione. All’impasto semplice di farina ed acqua non venne aggiunto nient’altro. Bisognava solo far riposare il composto per una notte intera. Questa scoperta, sempre secondo la leggenda, fu dovuta alla maldestra condotta di un servo egizio che avendo fatto cadere dell’acqua in un tumulo di farina, per non farsi scoprire coprì alla meglio l’intruglio fino al mattino seguente. L’indomani trovò, con grande sua sorpresa, un impasto lievitato a tal punto da produrre, alla cottura, un pane soffice e fragrante.
Sempre per tramandata leggenda, l’impasto per il pane fu dovuto in modo accidentale per lo straripamento del Nilo, le cui acque bagnarono le scorte di farina conservate nei magazzini del Faraone.
Quando esattamente l’uomo riuscì a fare il pane, non si sa. Una cosa è certa ed è che dalla terra dei faraoni la civiltà del pane si diffuse in tutto il Mediterraneo, attraverso tempi e modi diversi.
Dal primo pane duro, focacce rotonde e appiattite, cotte fra due pietre roventi, il pane soffice e lievitato fu una vera conquista.
Chi si rese conto che i fermenti dei cereali, usati per preparare la birra, potevano essere usati per la panificazione furono sempre gli egiziani, che compresero quanto differente sarebbe stato il pane fermentato, decisamente più soffice e gustoso.
Una volta introdotto il buon lievito nella pratica della panificazione, gli egiziani gioco forza inventarono anche una specie di forno, fatto di mattoni d’argilla del Nilo di forma cilindrica, che si restringeva in alto a forma di cono. L’invenzione fu studiata alla perfezione perché l’impasto risultasse cotto ed anche morbido. La parte inferiore aveva un’apertura più larga per l’introduzione comoda delle forme di pane e l’espulsione del gas. Pronti per l’infornata, i panettieri egiziani toglievano la pasta inacidita dal recipiente dove veniva fatta fermentare, la salavano e manipolandola ancora una volta, la mettevano nel recipiente di cottura cosparso preventivamente di crusca per evitare che l’impasto si attaccasse al fondo della teglia.
Il pane, da allora, da tutti i popoli, fu sempre cotto nella fiamma viva e nel calore uniforme del forno, pane che è sempre stato il conforto del viandante, la benedizione della tavola, la ricchezza del povero.
Il lievito madre, tra storia e leggenda
Mangiamo il pane, lo gustiamo, ci rendiamo conto quanto il pane sia particolarmente buono, saporito, invitante. Ma cos’è che rende il pane buono, profumato ed anche digeribile? I suoi ingredienti fondamentali, farina, acqua e il lievito. Iniziamo dal lievito. Se il pane è fatto con il lievito madre, l’impasto sarà eccellente. Ma perché? La digeribilità è alla base del buon pane fatto con il crescente che produce una fermentazione acido-lattica, che disgrega l’amido dei cereali, esaltando i profumi dei grani.
La caratteristica della pasta madre è che ha una microflora selezionata ed equilibrio stabile tra lieviti e batteri. Una volta ottenuta la pasta madre tramite l’acidificazione spontanea di acqua e farina, viene tenuta in vita e riprodotta per mezzo di successivi rinfreschi, cioè impasti periodici con determinate quantità di farina fresca e acqua. I microorganismi che la compongono infatti devono essere costantemente nutriti e posti in condizione di riprodursi. La pasta madre così costantemente vivificata è ottima per il pane, la pizza, per tutti i lievitati e anche per alcuni dolci caratteristici come il nostro amatissimo panettone natalizio.
Le caratteristiche della pasta madre sono il suo odore leggermente acidulo, il colore bianco-grigiastro e la proprietà di sciogliersi con facilità in acqua tiepida.
Il lievito di birra invece produce una fermentazione alcolica, forte e intensa, riconoscibile per l’odore che quasi assale le narici. Tra i due lieviti la differenza sta nella sostanza della composizione e nel risultato. Il lievito di birra è un agente lievitante che si genera da microorganismi unicellulari, i Saccharomices cerevisiae, da sempre utilizzati per la produzione della birra, da cui deriva il suo nome. Lievito che riesce a far aumentare l’impasto grazie alla sua azione fermentativa che produce anidride carbonica e viene inglobata nella struttura realizzata dal glutine. Il lievito madre, come abbiamo già argomentato, chiaramente differisce come prodotto e come resa nella preparazione dei lievitati in quanto può essere considerato un vero e proprio “organismo vivente”, proprio perché va nutrito e accudito, e contiene al suo interno diverse famiglie di lieviti e soprattutto batteri buoni, come il Lactobacillus.
Oltre allasua digeribilità, il pane realizzato solo con pasta madre, in particolar modo per coloro che sono intolleranti al lievito di birra, si distingue per il buon sapore che varia a seconda degli ingredienti inseriti nel processo di panificazione e di lievitazione.
A differenza del cosiddetto lievito di birra, il lievito madre comprende, tra i lieviti, diverse specie di batteri lattici eterofermentanti ed omofermentanti del genere Lactobacillus. La fermentazione dei batteri lattici produce acidi organici e consente inoltre una maggiore crescita del prodotto e una maggiore digeribilità e conservabilità.
Per dare vita al lievito servono pochi basilari ingredienti, l’acqua e la farina. Ma per accelerare il processo di fermentazione ed ottenere del lievito naturale si userà dell’acqua in cui avrà macerato per ben due giorni frutta zuccherina.
Il rapporto tra frutta zuccherina e acqua, per una corretta macerazione che deve avvenire in 48 ore, in proporzione di 250g di frutta e 250 di acqua. A macerazione avvenuta si procede a filtrare il liquido attraverso un canovaccio e quindi si impasta con il doppio della farina e si usa quando è raddoppiato di volume. Perché il lievito risulti un buon lievito forte, si richiedono un paio di rinfreschi prima di eseguire la produzione di qualsiasi pane.
Importante per il processo di panificazione con il lievito madre è appunto il cosiddetto rimpasto o rinfresco della preziosa pasta madre.
Non useremo mai la semola per ottenere il lievito madre, ma possiamo usare diverse qualità di farine, dalla 00 alla 0. La differenza è data dalla proporzione di glutine, una proteina insolubile composta da due elementi, gliadina e glutenina, che conferisce forza ed elasticità a un impasto. Una farina che contiene molto glutine è una farina che viene definita “forte”.
Con un buon lievito madre si può benissimo pensare di fare in casa un ottimo pane, fragrante, gustoso e soprattutto digeribile.
Una leggenda mediterranea distintiva della cultura calabrese, racconta che la Madonna, quando era piccola, andava a scuola dalla nota Sibilla cumana, che insegnava alla piccola Maria a leggere e scrivere ed essere efficiente nelle faccende di casa[1]. A quel tempo gli uomini facevano il pane senza lievito, solo la celebre indovina lo faceva con il lievito, ma lo teneva nascosto alla piccola allieva e dopo averlo usato lo buttava via perché non si scoprisse il suo segreto. Un giorno la Sibilla gettò, come sempre, l’avanzo del lievito dopo averlo utilizzato, ma l’astuta Madonna lo raccolse e lo nascose sotto l’ascella. Molte sono le leggende popolari che affermano che la cavità che gli uomini hanno sotto l’ascella abbia origine proprio da quell’episodio. La Vergine Maria corse a casa e diede il pezzetto di lievito a sua madre Sant’Anna. Da quel giorno il pane fatto in casa ebbe un altro sapore, sfornato era profumato e fragrante.
Un altro racconto che appartiene alle leggende popolari mediterranee, narra come la Madonna strappò alla Sibilla, oltre al segreto della lievitazione, anche quello della conservazione e dello scambio sociale del lievito[1]. La piccola Maria, che aiutava a fare il pane in casa, un giorno prese un pezzo di pasta, proprio come aveva visto fare alla Sibilla cumana, e dopo averla appallottolata, la mise in una tazza e la conservò nell’armadio per parecchi giorni. Quando sant’Anna decise di fare il pane, Maria, secondo gli insegnamenti della Sibilla, sciolse il lievito in un tumulo di farina. Il pane che venne fuori dal forno riempì il luogo di un odore inebriante e risultò soffice e fragrante.
Il lievito, presente in numerosissime leggende popolari, è praticamente alla stregua di una sostanza sacra, dagli effetti prodigiosi, proprio perché ha il potere di rendere morbido e gonfio l’impasto del pane, ma anche altri buonissimi impasti.
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