L’uccisione del maiale in Ciociaria
1.4 Riti alimentari e cultura del maiale in Ciociaria
Er Porco[1]
Un vecchio porco disse a certe vacche:
-La vojo fà finita
De fa sta porca vita.
Me vojo mette er fracche,
Le scarpe cò lo scrocchio.
Un fiore, un vetro all’occhio,
E annammene in città.
Indove c’è gente più pulita
Che bazzica la bona società
In varie occasioni della vita sociale si osservano comportamenti standardizzati e ripetitivi, con un preciso significato simbolico. Tali comportamenti rientrano in genere in cerimoniali, feste popolari o culti religiosi. In pratica, tutte queste manifestazioni non sono altro che forme rituali sociali, un insieme complesso e interrelato di azioni. L’identità gastronomica del Lazio conserva ancora gelosamente momenti di ritualità alimentari, legati alla tradizione agricola locale che non riesce a scomparire, anzi nonostante il mercato omologante e le mode alimentari commerciali, rimane un punto di riferimento importante.
Non si può parlare di gastronomia laziale senza far riferimento ai luoghi del basso Lazio, ovvero alla Ciociaria, luogo in cui le tradizioni culinarie ancora oggi tramandano abitudini alimentari contadine legate alla macellazione del maiale. Questo animale ha caratterizzato, nel tempo, vecchi rituali della famiglia patriarcale ciociara, che, rispettando i tempi delle stagioni dell’anno, acquistava il maialino il 10 del mese di dicembre al mercato di S. Donato o il lunedì al Foro Boario di Atina, oppure l’8 dicembre ad Alvito nel giorno della “Grande Fiera”.
La piccola bestia dopo l’acquisto veniva nutrita ed ingrassata, fino ad arrivare ad un peso giusto da macello di due quintali e mezzo, grazie ai sostanziosi pastoni a base di crusca, frutta, bucce di patate e scarti di verdura.
L’allevamento e l’ingrasso del maiale più o meno durava all’incirca dodici mesi, dopo di che si procedeva alla scannatura, inserendo, con una mossa abilissima, nella carotide della bestia un coltello affilatissimo. I maiali ciociari, ieri come oggi, sono di razza pregiata, hanno il pelo nero simile ai cinghiali, e la loro carne ha una sua particolare prelibatezza e saporosità.
L’uccisione del maiale, fa parte del misterioso ciclo delle attività agro-pastorali intessute di attese e sacrifici, nel rispetto di un codice morale proprio, che definisce il rapporto tra l’uomo e la natura, tra l’intelletto che deve prevalere sulla forza degli eventi naturali.
Il legame che intercorre tra eventi contestualizzati, in questo caso l’uccisione del maiale, e rituali di estesa socialità, è abbastanza stretto nella cultura contadina della Ciociaria. L’evento dell’uccisione del maiale è un momento che può definirsi addirittura festoso, quasi di riconciliazione e di scambio, un vivere insieme il gusto e la cucina di piatti preparati con il “porco” ammazzato, rito atteso e per di più festoso.
Questi riti di festosità sociale famigliare, hanno anche la funzione di scacciare eventuali ansie e paure, e di favorire l’avvicinamento alla materialità della vita con estrema freddezza e determinatezza. In Val di Comino, a S. Donato, vive Loreto Cedrone, ormai di vetusta età, soprannominato Mammaianna[2], che vanta al suo attivo lo scannamento di ben cinquemila maiali. A testimonianza delle sue gesta di provetto scannatore, alcune foto lo ritraggono mentre solleva la bestia appena sgozzata in segno di vittoria. Foto da considerarsi veri documenti di vita contadina vissuta tra rituali di allevamenti e uccisioni di maiali, un tempo elementi fondanti l’economia della terra della Ciociaria.
Ancora oggi in Ciociaria, la carne di maiale è l’alimento che rappresenta la sintesi tra le vecchie e le nuove abitudini gastronomiche che si ripropongono nel tempo sempre in riferimento a vecchie e stuzzicanti pietanze. Anche per quanto riguarda ricette di piatti a base di maiale e derivati, bisogna dire che il sodalizio con le regioni confinanti, in particolare l’Abruzzo ed in parte la Campania ed il Molise, è molto forte.
Scopriamo piatti che rappresentano la particolarità di un’alimentazione contadina che si basa su un buon rapporto proteico giornaliero insieme ad un giusto apporto di amidi. Ed è così che pietanze a base di buona e genuina carne di maiale trovano nel pane casereccio, di solito raffermo, cotto al forno a legna, l’unione alimentare più giusta e sana, magari con il corretto accompagnamento di verdure di campo, come la nota “misticanza” fonte preziosa di sali minerali.
Pare proprio che del maiale gli scarti siano pochissimi o quasi nulli. Addirittura, per preparazioni gastronomiche, viene usato anche il sangue della bestia appena sgozzata, che sgorga dalla carotide durante la prima sgocciolatura.
Il Sanguinaccio
Con estrema sveltezza il sangue si raccoglie in un grande tino e lo si lascia riposare per più di un’ora, fino ad ottenere un composto compatto e molliccio che si chiama “sanguinaccio”. Questo composto, dopo che si è raffreddato, s’insaporisce con buccia d’arancia e mandarino, abbondante peperoncino, noci, sale, pepe bianco, aglio e finocchietto. Una volta mischiati ben bene gli ingredienti, si fa scorrere il composto nel budello del maiale come si fa per le salsicce. Quindi si lessa in acqua bollente e si mette ad essiccare in un luogo asciutto. Questa prelibatezza si mangia come salume o come companatico, oppure ripassato in padella con cipolle finemente tagliate.
In Molise è presente la stessa usanza gastronomica, con una variante: il sangue raffermo viene tagliato in grossi pezzi a forma quadrata, cotti in acqua bollente e all’occorrenza ripassati in padella con cipolla e peperoncino, pronti per la degustazione .
Il sangue del maiale serve anche per preparare il “dolce al sanguinaccio”.
[1] Gioacchino Belli, “Sonetti”, Garzanti
[2] Questo soprannome deriva da “mamma delle ghiande”, non altro che il nome della famiglia che nella zona si è sempre occupata dell’allevamento e dell’uccisione dei maiali.
tratto da “Il cibo in Tavola”, Rosalinda Gaudiano, ed. Mercanti
articolo molto interessante
Grazie