IDENTITA’ POVERTA’ ESCLUSIONE
Osservare, Cooperare, Gestire
Il secolo che volge al termine, lascia in eredità all’umanità intera una sfida insinuante e pericolosissima. Un gap di disuguaglianza sociale, economica e culturale che investe le fasce di popolazione a rischio, giovani di strada, senza fissa dimora, immigrati, disoccupati, non scolarizzati ed, in generale, tutti coloro il cui reddito non è più idoneo a soddisfare i bisogni di prima necessità in una società, la nostra, travolta dal progresso della tecnica, dalla competizione economica e dall’industrializzazione.
La crescente differenziazione nei vari campi delle attività sociali, non lascia spazio a semplici modelli di convivenza sociale. La complessità nei sistemi di vita di relazione – da quella puramente interazionale, a tutti i rapporti di relazioni sociali – ha da tempo preso il sopravvento. Questa realtà, ha reso necessaria l’attivazione di particolari sistemi di controllo sociale - rivolti sia ai cittadini che alle stesse istituzioni – per garantire quei diritti e quei doveri che strutturano una convivenza volta al ben-Essere pubblico.
Un’osservazione attenta e continua di come potrebbe evolvere il divario sociale tra le fasce di popolazione più abbienti e quelle invece a rischio d’emarginazione, è l’impegno che devono prefiggersi le istituzioni sia a livello nazionale sia a livello locale. Questa condotta a livello istituzionale potenzierà, garantendo, un possibile cambiamento a livello di coscienze locali, generando quel consenso collettivo finalizzato ad una convivenza nel rispetto delle diversità.
Il fattore che necessita un’attenta osservazione è l’esclusione dalla vita di relazioni sociali di alcune fasce di popolazione.
Nell’ultimo decennio, è proprio l’inserimento del lessico dell’esclusionea ri-definire la teoria della povertà: il soggetto, l’attore sociale che è in grado di condurre la propria esistenza, senza resecazioni biografiche, non può essere considerato soggetto a rischio di emarginazione.
La povertà – non più carenza di risorse monetarie – si configura nella nostra società contemporanea, caratterizzata da un inarrestabile processo di globalizzazione, come una condizione di paralisi biografica. Un vero e proprio passaggio semantico dalla nozione di povertà a quella di esclusione sociale. Condizione che non garantisce i diritti sociali fondamentali, escludendo i soggetti dalla comune vita di relazione sociale e culturale.
I fenomeni di esclusione sociale rendono visibili la fragilità della struttura del legame sociale all’interno della nostra società.
Gli esclusi possono essere immigrati, senza fissa dimora, disoccupati, etc., tutti coloro i quali sono immessi in un circuito che è tra assistenza e sopravvivenza, tra incapacità di riprodurre la propria vita e di ri-definire continuamente la propria identità.
Gli strumenti attualmente a disposizione delle istituzioni per leggere questi fenomeni inediti si rivelano inadeguati.
Una metodologia nuova, fondata principalmente su un approccio biografico e su conoscenze relazionali che intercorrono soprattutto tra quei soggetti emarginati e le istituzioni, si rende necessaria per inquadrare la specificità del fenomeno.
Rapporto istituzioni – soggetti a rischio di emarginazione
La cultura è qualcosa di acquisito da un individuo in quanto membro di una società. Gli individui che nascono all’interno di un sistema non sono portatori passivi della cultura di quel sistema, ma sono considerati gli agenti di trasformazione di questa cultura. Ogni società ha un proprio paradigma culturale che si struttura su modelli e principi di base. In base a questo paradigma le persone possono differenziarsi, attuando delle scelte di identificazione in rapporto a modelli, abitudini, valori, etc.
L’identità diventa così un luogo virtuale, cui facciamo riferimento per spiegare una pluralità di fenomeni. E’ un progetto, che coinvolge contemporaneamente sia i singoli che i gruppi sociali.(Levy- Strauss, L’identitè)
Il problema che emerge è dunque un problema di identità culturale.
Identità etnica, identità di classe sociale, identità politica, identità di cittadinanza, identità nazionale, identità di genere, di razza, di lingua.
All’interno di un sistema sociale, tutte queste identità se non correttamente riconosciute socialmente, sono a rischio di marginalità culturale e sociale.
E’ proprio l’intervento istituzionale che deve finalizzare l’operatività a favorire la conoscenza e la comprensione delle diverse identità che strutturano il vasto sistema sociale.
In quest’ottica si contribuisce ad agevolare relazioni quotidiane fra sistemi culturali diversi, sul territorio sia nazionale che locale, stimolando quel difficile processo che è l’integrazione.
L’integrazione delle minoranze a rischio di emarginazione, può essere attuata anche attraverso un capillare lavoro di osservazione del problema. Esistono dei punti focali da tener presente: la comprensione dell’evento alle sue origini e le sue motivazioni, la considerazione dei fattori sociali che hanno contribuito a determinare un certo tipo di situazione.
Inoltre, la cooperazione fra istituzioni e associazioni di volontariato; l’educazione e la formazione, finalizzate alla conoscenza chiara del problema, insieme alla gestione delle risorse dell’ambiente costituiranno le basi di un’organizzazione sociale preparata anche a prevenire il problema dell’esclusione.
Il fenomeno emarginazione si determina proprio perché alcuni gruppi di persone si riconoscono e s’identificano in una particolare situazione sociale, che definiamo non idonea a soddisfare quei bisogni sia personali che sociali, indispensabili affinché ogni individuo si percepisca introdotto decorosamente nel sistema sociale d’appartenenza.
L’automatismo a percepirsi diversi, contribuisce a determinare sub-culture emarginate, in netta opposizione alla cultura dominante, con il pericolo di situazioni di conflitto non facilmente gestibili.
Molto spesso si può constatare che persone emarginate, hanno perso di vista la funzione del gruppo domestico, nel suo significato di ciclo della vita umana – immigrati, senza fissa dimora, giovani sbandati – intorno al quale ruotano numerosi interminabili processi umani come la socializzazione, e gli stessi equilibri tra potenziale riproduttivo e risorse umane.
Osservare
L’intensità e la visibilità del fenomeno “soggetti a rischio di emarginazione” sullo specifico territorio, va osservato da più versanti: statistico, demografico, economico, storico, biologico, religioso, linguistico, giuridico.
Questo tipo di approccio metodologico può fornire sostanziali indicazioni su comportamenti devianti degli emarginati presenti sui territori e non adeguatamente integrati; su fattori temperamentali ed emozionali delle persone emarginate e la loro integrazione socio economica; sulle abitudini e le mentalità, nonché sui disagi esistenziali, quali i rapporti – se ce ne fossero – che intercorrono fra le persone emarginate e le istituzioni presenti sul territorio, e di che tipo.
Il fine e la funzione di osservare in questo modo il fenomeno consiste essenzialmente nell’avvicinarsi ad esso secondo un taglio analitico ed il più possibile scientifico, nello sforzo di individuarne dimensioni, cause, caratteristiche, implicazioni giuridiche, e ricorrenze storiche.
Il fenomeno migratorio
Come in passato anche nei tempi recenti l’Europa è stata teatro di continui movimenti migratori. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale le migrazioni interne all’Europa sono notevolmente diminuite. Nello stesso continente, contemporaneamente, si verificava un fenomeno sempre più cospicuo: l’afflusso migratorio extraeuropeo.
Questo nuovo fenomeno ha trovato assolutamente impreparate le amministrazioni, istituzioni e servizi dei paesi accoglienti.
Nell’Europa occidentale risiedono attualmente circa 15.000.000 di immigrati, 10.000.000 di quali provengono dai paesi in via di sviluppo. A questa cifra si debbono aggiungere gli 8.000.000 di immigrati clandestini di cui una buona percentuale si concentra in quei paesi dell’Europa meridionale, che, come l’Italia, possiedono un’eccezionale sviluppo costiero – per l’Italia si tratta di 4.000 Km di coste – e che si trovano in situazione di maggiore impreparazione rispetto all’accoglienza.
L’intensità di questi movimenti, l’impreparazione dei singoli governi a gestire una politica di pianificazione adeguata in merito, ha dato origine nell’ultimo decennio ad una serie di vertici europei.
Allargando lo sguardo poco al di là dell’Europa, seguendo indicazioni statistico-demografiche, ci rendiamo conto che esistono popolazioni caratterizzate da alti tassi di incremento demografico. Questo fenomeno interessa tutta la popolazione nordafricana, il cui aumento frutterà nei prossimi 20 anni circa 20 – 30 milioni di persone.
Se prendiamo in considerazione ciò che avverrà nei prossimi anni da una parte sul versante nord del Mediterraneo, dall’altra sul versante sud orientale di esso, ci rendiamo conto che mentre nella “tranquilla” Europa la popolazione rimarrà stazionaria, nell’area islamica sottosviluppata, a sud e a est del Mediterraneo, ci sarà un aumento demografico tale, da far prevedere l’arrivo verso il nostro continente di flussi migratori costanti e di grande consistenza.
Inoltre nell’ultimo periodo si è costatato un forte flusso migratorio da quei paesi europei scossi da conflitti etnici, come i Balcani, o da profondi sconvolgimenti politici, come l’ex-Unione Sovietica.
Esuberanza demografica, cause belliche, etniche, religiose, politiche, sono le cause principali che spingono uomini, donne, bambini, anziani a varcare il proprio confine per cercare una diversa speranza di vita in paesi d’approdo stranieri.
Multiculturalità e intercultura.
L’Italia è stata per circa un secolo uno dei maggiori paesi d’emigrazione.
Solo durante la seconda metà degli anni settanta il territorio italiano è diventato meta di flussi d’immigrazione dal terzo mondo e dall’Europa centrale.
Questa realtà ha senza dubbio definito un cambiamento di ruolo nel sistema migratorio internazionale dell’Italia, che da paese d’emigrazione si è trasformato in paese d’immigrazione.
Questo cambiamento – di fase, di ordine sostanziale e simbolico – ha generato il bisogno di un progressivo adeguamento alle modificazioni strutturali che man mano hanno ridisegnato la società italiana.
Immediatamente connesso a questo tipo di cambiamento socio-culturale vi è il problema della convivenza tra minoranze e popolazione autoctona e tra immigrati e società di accoglienza.
Ne deriva un tipo di società con caratteristiche multiculturali, in cui il riconoscimento dell’esistenza di più culture e delle diversità culturali esistenti e quello dell’equivalenza delle culture esistenti permettono di rifiutare a priori la classificazione e il riconoscimento genealogico riferibile alla teoria “naturale” delle culture.
Il pericolo che due culture differenti s’incontrino e non si comprendano, può dare spazio ad avversioni, stati di conflittualità e di intolleranza tra le persone di differenti origini culturali. Si comprometterebbe, in questo modo, il processo di integrazione degli stranieri nel paese ospitante, che potrebbe compiersi sotto il profilo dell’assimilazione e non dell’integrazione.
Una possibilità che garantisca l’attuazione del processo di integrazione fra immigrati e popolazione indigena è l’impegno da parte delle istituzioni ad educare la popolazione all’interculturalità. Ed è proprio l’istituzione scolastica che si trova ad essere, in questo caso, prediletta ad inserire, nei suoi programmi, lineamenti per un’educazione interculturale.
Il concetto di intercultura fonda il suo profondo significato non sul rispetto delle differenze ma sul rispetto delle identità.
In opposizione alla valorizzazione delle differenze, che porta implacabilmente ad un allontanamento fra le diverse culture alimentando delle situazioni di completa indifferenza, il processo interculturale si fonda su un progetto di seduzione – generare un fascino proprio di una cultura specifica – attrazione – generare interesse per la nuova cultura – traduzione – la ricerca di termini equivalenti che si avvicinino ad una spiegazione di significati della cultura satellite.
Non rispettando il principio di equivalenza nei processi di traduzione che servono a spiegare i diversi significati presenti in culture differenti, s’incorre in situazioni approssimative, deleterie e forvianti dal giusto e corretto significato dei termini culturali presi in considerazione.
Questo principio è sempre stato la base per tradurre correttamente i significati linguistici, ed è importante per tutte le possibili traduzioni di ogni tipo di credenza, di comportamento, di significato valoriale che intessono il complicato mosaico di ogni cultura umana.
Sotto questo particolare aspetto possiamo affermare che il progetto culturale europeo è un progetto che si basa su basi prettamente interculturali, focalizzando i particolarismi delle diverse culture, valorizzando e difendendo le identità culturali, unica vera forza per un dinamico sviluppo sociale.
La legge Martelli sul problema immigrazione (1990), chiariva l’importanza della formazione individuale e collettiva organizzata da una politica interculturale. Formazione che si caratterizza come un processo, a vantaggio della persona immigrata, sia di inserimento nella vita attiva del paese, sia come potenziale mantenimento del legame etnico e culturale con il paese di origine.
L’attivazione di una politica che non solo sia sensibile al problema immigrazione, ma che lo affronti nelle corrette dimensioni e sfaccettature con pratiche di relazioni di aiuto, riconduce senza ombra di dubbio all’esigenza di un’educazione interculturale sia per le persone immigrate, sia per chi ospita gli immigrati.
A questo punto entrano in gioco i concetti e le categorie proprie di una pedagogia interculturale, con curricoli formativi, stili comunicativi, corsie preferenziali di valorizzazione per chi parte in svantaggio e deve accelerare tempi e stili di interazione linguistica modale, concorrenziale, e così via.
L’educazione interculturale deve tener presente le differenze linguistiche, religiose, culturali, storiche che sono proprie di ogni individuo con una propria identità culturale ed etnica.
Basterebbe appena soffermarsi sul problema religioso e notare la considerevole consistenza della presenza in Italia delle componenti migratorie islamiche che comprendono non soltanto marocchini e tunisini, ma anche buona parte degli immigrati iugoslavi.
L’Islamismo – con il cristianesimo ed il buddismo – è una delle più praticate religioni al mondo. Questa religione conta 800 milioni circa di aderenti ed è diffusa in 162 paesi, quale religione di stato.
L’Islamismo è una religione monoteista (come d’altronde il cristianesimo).
Ma i musulmani considerano i cristiani politeisti, perché credenti nella Trinità di Dio (padre, figliolo e spirito santo), e sacrileghi in quanto osano raffigurare Dio nelle immagini religiose.
I musulmani, al contrario, consapevoli dell’assoluta trascendenza di Allah, non possono raffigurarlo con immagini ed i loro luoghi di preghiera presentano soltanto affreschi e mosaici di tipo decorativo.
Molto forte nella religione islamica è la concezione della predestinazione delle anime: Dio salva chi vuole, ma ci sono alcuni passi del Corano che fanno pensare all’esistenza del giudizio divino, per una componente derivante dall’uso che l’uomo ha fatto della sua responsabilità.
Questa brevissima riflessione sulle differenze di credenze riguardo alle religioni che ogni popolo professa, devono mettere in guardia da un’eventuale superficialità nell’affrontare le convivenze multiculturali senza un adeguato progetto educativo inteso come unico e solo strumento che apra le porte ad una mediazione culturale.
Mediazione culturale intesa come attività professionale che miri a costruire quotidianamente relazioni tra due sistemi culturali diversi, operando tra istituzioni territoriali e comunità immigrate.
Si è visto che uno dei problemi di maggior difficoltà è l’incomprensione, che deriva soprattutto dalla diversità della lingua. Ma anche quando la lingua è conosciuta sono diverse le modalità espressive di chi parla – straniero – e di ascolta – autoctono. É il senso che deve essere correttamente interpretato, perché possano essere interpretati correttamente gli scopi, i valori, le cornici culturali, che sostanziano ogni comportamento umano guidato da specifiche mappe culturali.
La produzione di senso avviene per analogie, in base a mappature in termini di sistema, considerato la base perché ogni cultura diventi operativa grazie a nessi analogici: miti, riti, credenze magiche, cerimonie. Ogni significato culturale fa parte di quel senso comune proprio di ogni cultura – infatti le differenze culturali permettono le varie interpretazioni del senso comune – costruito in un tempo e delimitato in uno spazio.
Rendere comprensibile una cultura, o meglio dei significati culturali, vuol dire saper codificare parole, valori, comportamenti ecc. tenendo presente un sistema culturale che non è quello proprio, ma che è sempre valutato per confronto con quello proprio.
La capacità di effettuare simili traduzioni deve nascere empiricamente e non analiticamente, cioè deve emergere da una corretta conoscenza dei fattori che sono presenti nel problema delle differenze culturali .
Sono proprio le caratteristiche socio-culturali, gli usi del linguaggio e della strutturazione del pensiero propria d’individui appartenenti a determinate culture, a far sì che i processi culturali si differenzino fra loro generando il vasto e variegato mondo del pluralismo culturale.
In una società multiculturale l’apprendimento è concepito non come un processo di trasmissione di conoscenza da un esperto (modello di apprendimento pilotato dall’adulto), o come acquisizione di conoscenza (modello di apprendimento pilotato da un bambino), ma come un’attività attraverso cui una comunità stimola l’acquisizione di nuove competenze da parte dei suoi membri secondo modalità simili a quelle proprie dell’apprendistato nelle società tradizionali.
La zona dei Castelli Romani e il fenomeno emarginazione.
L’area dei Castelli Romani comprende 11 comuni. Di questi comuni, 7 fanno parte della Diocesi di Frascati: Colonna, Frascati, Grottaferrata, Montecompatri, Monte Porzio Catone, Rocca di Papa, e Rocca Priora.
Quest’area rappresenta un microcosmo in cui sono presenti fenomeni – quali quelli dell’immigrazione, dei giovani di strada e della delinquenza minorile, della droga, dei senza fissa dimora, dei malati mentali, etc.- che, hanno registrato un cospicuo incremento nel corso degli ultimi anni.
Su questo territorio l’economia è essenzialmente dedita al terziario, a parte alcuni limitati comprensori in cui si è conservata la tradizione della viticoltura.
I fenomeni di emarginazione sociale che riguardano la fascia di popolazione a rischio di esclusione dalla normale vita di relazione, non hanno una visibilità ben percepibile nel tessuto sociale e urbano.
In questa zona, che lamenta un’economia locale debole, seppure in un quadro ambientale di un certo pregio, si avverte, ora più che mai, la carenza di strutture idonee a comprendere il fenomeno dell’emarginazione sociale che, come già detto, è in via di espansione, anche a causa del notevole afflusso di popolazione immigrata.
La prossimità alla città di Roma, ridotta per alcuni comuni (Frascati, Albano, Marino, Grottaferrata) a meno di 15 km., ha fatto della zona Castelli un bacino di ricezione dalla capitale. Numerosi immigrati per lo più clandestini, risultano essere pendolari regolari tra la capitale e i Castelli. Molti di loro provengono anche da Ostia , da Terracina, e raggiungono ogni giorno la zona Castelli per lavoro.
Al rientro nel luogo dove dimorano, per queste persone esistono per lo più rapporti con immigrati connazionali o con immigrati di diversa nazionalità che, comunque, si trovano nella loro stessa situazione.
Questo genere di mobilità che riguarda le persone immigrate, in maggioranza clandestini, alimenta una situazione che si può definire di “uomo marginale”, che facilita l’esclusione delle persone immigrate, soggetti che vivono in uno stato di chiusura sociale, potenzialmente non in grado di ridefinire la propria cultura e la propria identità.
Attualmente esistono nella zona dei Castelli attività di volontariato sostenute dalla Caritas di Frascati, di Velletri e di Albano, direttamente coinvolte a fronteggiare il fenomeno in questione tramite strategie d’intervento come l’accoglienza, l’assistenza, e l’aiuto .
Nonostante ciò, si avverte l’esigenza di avere sul territorio dei Castelli attività di controllo anche a livello istituzionale, affinché possa essere attuata una politica d’intervento comune tra amministrazioni comunali, sia per osservare il fenomeno sia per studiare le possibili strategie che permettano di contenerlo
Qualsiasi attività di osservazione a livello istituzionale, diretta a conoscere il fenomeno emarginazione, deve orientarsi secondo un modello proprio. Ogni territorio ha dei bisogni prioritari, delle risorse a disposizione, e una rete di servizi pubblici e privati.
Una possibile collaborazione tra attività di volontariato già presenti sul territorio e istituzioni comunali, costituirebbe una positiva strategia di azione finalizzata ad analizzare il fenomeno emarginazione dal punto di vista sociale, economico, culturale e demografico.
Le strategie di azione dirette a osservare, valutare e ridimensionare il fenomeno dell’emarginazione sociale, che siano supportate a livello istituzionale, garantiscono al fenomeno un approccio analitico e scientifico.
In quest’ottica, si può pensare ad azioni chiave (key actions) come informare – per mezzo di sportelli di utilità immediata, uffici informativi e orientativi – formare – attraverso persone esperte nelle tecniche di mediazione culturale – organizzare – studiando il numero, i tipi e le caratteristiche delle diverse organizzazioni di aiuto, e procedendo alla creazione di una banca dati di queste organizzazioni – conoscere – individuando i soggetti coinvolti nel fenomeno e le metodologie applicate per valutare se le organizzazioni di aiuto siano dirette al successo o al fallimento, – lavorare – ponendo mano ad una integrazione tra istituzioni e agenzie di volontariato esistenti sul territorio, in modo da sviluppare e affermare metodologie di intervento idonee all’aiuto delle popolazioni invisibili, per arginare il gap tra il grosso della società e i socialmente marginali.
Come è noto, il problema della marginalizzazione sociale si è evidenziato alla fine degli anni 70 inizio anni 80 attraverso storie occasionali di barboni.
Solo durante quest’ultimo decennio si è realizzato quanto il fenomeno fosse diffuso anche a livello di famiglie.
La crescita è coincisa con la riduzione delle grandi industrie manifatturiere, la destabilizzazione delle comunità, la mancanza di adeguati servizi sociali per la salute fisica e mentale, la diminuzione di alloggi a basso costo, la riduzione del potere dei salari e la mancanza di una rete di controllo sociale.
Tutto questo ha così portato ad una situazione di ineguaglianza sociale, con disparità di guadagni e di ricchezza, aumento di violenza sia sociale che politica, diminuzione di lavoro giustamente retribuito, ed aumento di lavori instabili e a bassa remunerazione.
Il fenomeno della marginalità sociale, guardato da questo punto di vista, rappresenta un indicatore sociale globale di un’aumentata instabilità sociale.
Osservare vuol dire anche ricercare quei fattori culturali, politici ed economici che hanno dato origine a deficit sociali strutturali di questa portata.
Rilevanze statistiche sulla popolazione dei Castelli Romani
Nota introduttiva
Per iniziare a conoscere il fenomeno emarginazione sul territorio dei Castelli ho analizzato alcuni dati statistici a mia disposizione – fonti Caritas di Frascati e Commissariato di Frascati – tramite il programma EXCEL. Le metodologie diverse utilizzate nella raccolta dei dati e la loro scarsa rilevanza statistica non permettono una reale analisi quantitativa, tuttavia è possibile ricavare informazioni di tipo qualitativo che sono di qualche interesse.
Da correlazioni effettuate sui dati, sono emerse alcune realtà presenti sul territorio dei Castelli riguardanti il problema immigrazione – iscritti regolarmente all’anagrafe, con permesso di soggiorno e clandestini – malati mentali e soggetti che fanno uso di droga.
Una ulteriore ricerca di dati statistici, meglio assestati, potrà ulteriormente fornire indicazioni più esaustive riguardo al fenomeno menzionato in questa sede.
Il crescente problema del processo migratorio sul territorio dei Castelli Romani, con tutte le esigenze che esso comporta legate ad una convivenza multiculturale si interseca con altri problemi coesistenti e di non meno difficile soluzione: disagio giovanile. malattie mentali, disoccupazione, e carenza di strutture idonee ad affrontare realtà di questo genere.
La tavola 1 – stranieri presenti sul territorio iscritti all’anagrafe – mostra il rapporto percentuale degli stranieri, rispetto alla popolazione dei residenti, nella zona dei Castelli, divisi per stranieri non CEE e stranieri CEE + USA.
Appare chiaramente che la maggioranza degli stranieri è costituita dai non appartenenti alla CEE. Si può notare inoltre dalla tabella, le percentuali leggermente superiori presenti nei comuni di Frascati e di Rocca di Papa.
Nel comune di Frascati, in particolare, ogni 100 abitanti vi sono 2,5 stranieri.
La tavola 2 – popolazione immigrata CEE – un elemento che emerge è che nella zona dei Castelli la comunità più numerosa di stranieri CEE è quella inglese, seguita da quella francese e tedesca.
Nel comune di Rocca di Papa circa il 40% del totale degli stranieri CEE sono inglesi. Fortemente presenti nel comune di Rocca di Papa sono gli stranieri di nazionalità americana.
La tavola 3 – popolazione immigrata non CEE – mostra che il gruppo etnico più forte è quello jugoslavo. Una forte concentrazione è presente nel comune di Frascati.
Percentuali considerevoli anche per polacchi, arabi, marocchini, albanesi, macedoni.
La tavola 4 rappresenta la popolazione immigrata nella zona dei Castelli rispetto alla popolazione immigrata in tutta la zona del Lazio. I gruppi etnici più rilevanti, per la loro presenza numerica di persone, sono quelli jugoslavi ed albanesi.
All’inizio del ‘98, il Lazio è la seconda regione in Italia per la consistenza della presenza straniera: 232.611 soggiornanti, contro i 250.400 della Lombardia.
La regione Lazio, è comunque fra le più impreparate all’accoglienza e all’assorbimento della manodopera immigrante.
Roma, per molti immigrati rappresenta sia il punto d’arrivo ma anche un transito obbligatorio per il raggiungimento di mete successive.
La tavola 5 mette in evidenza la distribuzione di immigrazione tra maschi e femmine in rapporto ai paesi d’origine.
Fra gli immigrati jugoslavi vi è un fattore 2 tra maschi e femmine. La stessa cosa si rileva per gli albanesi. Per gli immigrati marocchini si riscontra un fattore 4, per il Bangladesh addirittura un fattore 10.
Riguardo agli immigrati di origine polacca, si riscontra una percentuale del 50% in più di donne rispetto ai maschi. Tra gli immigrati filippini vi è un fattore 2 di donne rispetto ai maschi. Per i peruviani il fattore si avvicina al 2,5. Per gli immigrati brasiliani il fattore è quasi 2. Le motivazioni potrebbero essere molteplici: lavori domestici, prostituzione, etc.
La tavola 6 mette in evidenza il motivo dell’immigrazione.
Il primo fattore per il quale si emigra è costituito dalla ricerca del lavoro. Il secondo fattore riguarda motivi di ricongiungimento familiare. Vi sono, inoltre, una grossa quantità di non-occupati, e di coloro che rientrano tra gli immigrati per scopi umanitari.
Disturbi mentali e droga
Dall’esame complessivo delle tavole emerge che i soggetti più colpiti da malattie mentali sono le persone che non hanno un lavoro o che non hanno un lavoro fisso.
Sono più soggetti coloro che sono in possesso della licenza media o diploma. Meno soggetti i laureati e i senza titolo di studio. Il disturbo più frequente è la nevrosi. Delle varie forme di psicosi, quella schizoide è la più frequente.
Il primo contatto con la droga avviene per le fasce d’età comprese fra i 20 – 30 anni d’età.
Riferimenti bibliografici
- Bouchet H., En attendant l’Europe sociale, dans Le Monde diplomatique, Offensives du mouvement social, n. 35, Settembre 1997 ;
- Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, 1996;
- Bruner J., La ricerca del significato, Boringhieri, 1992;
- Caritas di Roma, Dossier statistico, 1998;
- Cavalli Sforza L., Geni, Popoli e Lingue, Adelphi, 1996.
- Del Lago A., Lo straniero e il nemico, Costa e Nolan, 1997;
- Gerbino V., La percezione, il Mulino, 1983;
- Le migrazioni nell’Europa contemporanea, da “Le scienze”, n.314, Ottobre 1994;
- Levi-Strauss C., Razza e Storia, Einaudi, 1967;
- Levi – Strauss C., L’identità, Sellerio, 1980
- Mantovani G., L’elefante invisibile, Giunti, 1998;
- Spanò A., La povertà nella società del rischio, Sociologia, ricerche ISBN, 1999;
- Tacchi M. E., Immagini delle transizioni urbane, Sociologia urbana e rurale, ricerche ISBN, 1999;
- The Ethnobarometer Report, Ethnic Conflict and Migration in Europe, CSS-CEMES, 1999;
Commenti recenti