MANK
IL CINEMA DELL’INTERCULURA
“MANK”
Un film in bianco e nero oggi potrebbe essere sinonimo di vecchio e noioso. David Fincher, con una scelta soprattutto estetica che ha riportato sul grande schermo una sofisticata ricerca espressiva, ha voluto utilizzare proprio il bianco e nero per rendere al massimo l’atmosfera del suo “Mank”. La realizzazione di questo film che punta dritto all’Oscar è stata possibile grazie alla piattaforma di Netflix. La piattaforma assicura budget, visibilità e, cosa importante, permette di ambire a premi eccellenti, garantendo al film la fruizione di un’ampia platea. Un’occasione unica che Fincher non si è lasciato scappare per mettere finalmente sul grande schermo il lavoro originale di suo padre Jack. California fine anni ’30, lo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, alcolizzato e giocatore incallito, vittima di un incidente automobilistico, si trasferisce in una casa nel deserto del Mojave. Mankiewicz, infermo e assistito da un’infermiera ed una dattilografa, deve scrivere una sceneggiatura in 60 giorni commissionata dal talentuoso, giovane attore di teatro Orson Welles. Mankiewicz, detto Mank, sfoglia senza remore ricordi del passato, di quando varcava la soglia delle writers room della Paramount e poi della Metro-Goldwyn-Mayer, spesso ospite del potente William Randolph Hearst ed anche dello stesso Louis Mayer. Correva l’anno 1934 e non mancavano momenti turbolenti per questioni politiche. L’America era presa dall’elezione dell’allora governatore della California, ed il candidato democratico, Upton Sinclair, del quale Mank auspicava la vittoria, era mal visto da Mayer e Hearst. Comunque sia, in condizioni fisiche disagevoli per l’immobilità dovuta alla gamba ingessata, Mank scrive la sceneggiatura di “Quarto potere” che si rivelerà un film inquietante per contenuti e tecnica. Ma il “Mank” di Fincher differisce nella sostanza da “Quarto potere” e si rivela una realtà pensata e filtrata dalla mano del suo sceneggiatore, una correlazione d’interessi di potere all’interno dei grandi Studio-System che risentivano in modo eclatante degli stessi interessi politici. Lungi dall’essere la biografia di Herman J. Mankiewicz, il film del regista statunitense è la frantumazione e la ricomposizione dei fatti che definirono la sceneggiatura di “Quarto Potere”, diretto da Orson Wells. Tra flash back, battute fulminanti e sorrisi sarcastici, “Mank” rappresenta un mondo in cui si svolge tutta la storia, uno spazio-tempo in cui sono collocati tutti gli eventi, una costruzione in un certo senso paradossale, una condizione di lettura che la lettura stessa costruisce, un presupposto ed alla fine un risultato dell’intera visione del film. Qui sta tutta la grandezza di “Mank”, nell’aver saputo dar voce, nella nuova chiave cinematografica dello streaming, alla geometria immaginaria di un passato ricomposto in una sorta di sigla stilistica, nella creazione di personaggi, di ambienti, di situazioni mortificanti fortemente incisive e spettacolarmente attraenti, in quel bianco e nero della fotografia di Erik Messerschmidt, che esalta l’effetto fotografico della pellicola. Il linguaggio cinematografico di Fincher non è mai banale e corrivo, ed il suo cinema rivela sempre una necessità vitale, nella poetica del piano sequenza e della profondità di campo, tanto amata dallo stesso Orson Wells in “Quarto potere”. Tutti sono protagonisti in questo film ed affiancano un grande Gary Oldman che si supera nella sua geniale performance, in preda ai fumi dell’alcool, che pare gli conferiscano una sapiente e consapevole lucidità, anche in particolari scenici che lo vedono insieme ad una dulcinea Amanda Seyfried. Tutto in “Mank” è racconto di un’epoca che avverte l’alito del cambiamento che si riflette in modo esemplare e affascinante sui suoi strumenti di narrazione e rappresentazione cinematografica, tanto da farne un capolavoro di classicismo cinematografico.(Rosalinda Gaudiano)
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