Il Cibo, un fatto umano
Cibo e processo culturale
Cibo ed umanità sono due facce della stessa medaglia. Il risveglio quotidiano inizia con una piacevole colazione: una bollente tazza di caffè, pane con burro e marmellata, una coloratissima spremuta d’arancia e, se desideriamo, altro cibo per darci energia ed affrontare la giornata che ci aspetta.
Il cibo sin dal primo mattino ci regala buon umore, ci conforta e ci da piacere. Mangiamo, ci nutriamo di cibi che ci piacciono, cibi offerti dal territorio che ci ospita, cibi che amiamo particolarmente, che ci gratificano e ci fanno sentire bene e soddisfatti.
Il cibo è così parte integrante del nostro essere, della nostra vita. Mangiare, oltre a rappresentare un bisogno, tanto è vero che se non mangiamo moriamo denutriti, rimane uno dei più accattivanti piaceri dell’uomo. Allora mangiamo, ed ingeriamo cibo che si trasforma dentro di noi in quella energia che ci permette di vivere. Sembra un’ovvietà, ma noi siamo il cibo che mangiamo e paradossalmente anche il cibo che non mangiamo.
Mangiamo tanto ed il nostro organismo ne soffrirà con malattie legate all’eccesso di cibo. Mangiamo poco e male ed altrettanto la nostra salute sarà messa a dura prova. Questo è ciò che ci succede con il cibo, a noi popoli dell’abbondanza, con tutto il cibo che abbiamo a disposizione.
Mangiare deve, allora , far parte di quei comportamenti responsabili, deve essere, se così possiamo dire, un’igiene soprattutto mentale, una condotta di vita ragionata. Il pasto, ad orari stabiliti fa parte della nostra cultura alimentare. Quando prepariamo il pranzo, pasto di metà giornata, sappiamo molto bene di quante portate deve essere costituito. Un primo, tra pasta asciutta o pasta con verdure o riso o minestre. Un secondo piatto di carne o pesce con contorno. Formaggio a fine pasto, frutta, caffè e, perché no, il dessert. Il tutto annaffiato con del buon vino, senza far mancare la preziosa acqua. Più o meno, per chi ha un buon appetito, il pranzo è inteso così, soddisfacente e direi anche abbondante.
Per non parlare di un pranzo allestito per le grandi occasioni, come per il Natale e la Pasqua oppure per importanti ricorrenze della vita famigliare, come matrimoni, battesimi, ed anche traguardi di studio come la laurea.
In queste occasioni il cibo si ostenta e quasi si sperpera in rituali che simboleggiano l’evento, nell’augurio propiziatorio che l’abbondanza di cibo sa elargire nel godimento del palato , ma anche della vista che può ammirare tavole imbandite di ogni sorta di leccornie. Ma non è solo questo! La tavola ricca di cibi è un linguaggio non verbale per chi ne prende parte ed è soprattutto mettere in rilievo l’evento, la festa, la ricorrenza, e dare ad essa il massimo godimento nella convivialità del buonissimo e particolare cibo. Prendiamo d’esempio alcune pagine del romanzo di Laurent Gaudè, “Gli Scorta”, ambientato nell’assolata Puglia, in quel promontorio magico di sole e mare che è il Gargano.
…La loro sorpresa aumentò ancora quando entrarono e scoprirono che al centro della piattaforma, tra cime e reti, si trovava un’enorme tavola sulla quale era disposta una bella tovaglia bianca ricamata a mano “A tavola erano una quindicina e si guardarono l’un l’altro, sorpresi nel constatare sino a che punto il clan si fosse ingrandito. Raffaele era raggiante di felicità e di golosità.
Aveva a lungo sognato quel momento. Tutte le persone che amava erano li, da lui, sul suo trabucco. Si prodigava da un angolo all’altro, dal forno alla cucina, dalle reti da pesca alla tavola, senza tregua, affinché ciascuno fosse servito e non gli mancasse nulla.
Quel giorno rimase impresso nella memoria degli Scorta. Perché tutti, adulti come bambini, mangiarono in quel modo per la prima volta. Zio Faelucc’ aveva fatto le cose in grande. Raffaele e Giuseppina portarono in tavola una dozzina di antipasti. C’erano delle cozze grandi come un pollice farcite[1] con un impasto a base di uova, mollica di pane e formaggio. Alici marinate la cui polpa, densa, si fondeva sulla lingua. Insalata di polpo. Insalata di pomodori e cicoria. Melanzane affettate alla griglia. Frittura di alici. Si passavano le portate da un lato all’altro del tavolo. Ognuno ci dava dentro con la gioia di avere solo l’imbarazzo della scelta e di poter mangiare ogni cosa…
Quando i piatti furono vuoti, Raffaele portò in tavola due enormi zuppiere fumanti. In una, c’era la pasta tradizionale della regione: i troccoli al nero di seppia. Nell’altra, un risotto ai frutti di mare. I piatti vennero accolti con un evviva generale che fece arrossire la cuoca. È il momento in cui si apre lo stomaco e si ha la sensazione di poter mangiare per giorni interi. Raffaele portò in tavola cinque bottiglie di vino locale. Un vino rosso, ruvido, e scuro come il sangue di Cristo. Il caldo toccava il suo apice. I commensali erano protetti dal sole grazie a una stuoia di paglia, ma l’aria era cosi calda da far sudare perfino le lucertole.
…Ma Raffaele non aveva ancora finito. Portò in tavola cinque enormi vassoi stracolmi di ogni genere di pesce pescato quella mattina stessa. Branzini e orate. Un’insalatiera di calamari fritti. Gamberoni alla griglia. Anche qualche scampo. Le donne alla vista dei piatti giurarono che non avrebbero toccato nulla. Che era troppo. Che sarebbero morte. Ma bisognava fare onore a Raffaele e Giuseppina. E non solo a loro. Anche alla vita che offriva quel banchetto che non avrebbero mai dimenticato.”
La storia del cibo è la storia dell’uomo e non è una novità che come e quando mangiamo ci viene imposto in sinergia da determinazioni culturali, spaziali e temporali che contribuiscono a caratterizzare la struttura della nostra identità individuale e sociale. Determinazioni che impongono limitazioni e divieti sul cibo che consideriamo ammissibili, etici, legati a tabù magici, religiosi, igienici e sociali, orientando un certo modo di comportarsi e di identificarsi che è parte integrante della processualità della cultura a cui apparteniamo.
L’uomo è un animale gregario, naturalmente segue il gruppo e nel gruppo trova il suo progredire culturale condividendo idee, comportamenti, nell’apprendere strumenti necessari per la sua stessa sopravvivenza. Le risorse naturali rappresentano la sopravvivenza per l’uomo e la loro gestione è affidata al lavoro umano, nella condivisione di pratiche che si apprendono socialmente, il tutto finalizzato all’approvvigionamento in campo alimentare.
Da sempre ogni popolo e gruppo umano hanno sviluppato un criterio soggettivo sul lavoro di produzione del cibo. Ma questo non impedisce di trovare pratiche assai simili sulla gestione e la produzione del cibo tra popolazioni che distano tra loro anche migliaia di chilometri, nonostante ci siano considerevoli differenze nella disponibilità delle risorse, nella preparazione delle pietanze e nei gusti.
Ecco perché, il cibo, per tutte le caratteristiche elencate, rappresenta un elemento identitario d’eccellenza, nelle sue differenti proposizioni, forme di mediazione economica, sociale e religiosa di un gruppo e di un popolo. Ciò che è d’importanza rilevante è che l’umanità, nelle sue miriadi di moltitudini etniche, ha prodotto interessanti tecniche di sfruttamento delle risorse naturali. Tecniche che sono il frutto di un ingegno collettivo, mediate grazie alla scoperta del linguaggio. E sono proprio queste due componenti distintive , linguaggio e lavoro, che hanno differenziato l’uomo dall’animale che invece agisce d’istinto.[2] L’animale ha comportamenti innati che prevedono sequenze fisse d’azioni in risposta a stimoli specifici. Per esempio, i nidiacei chiedono il cibo quando i genitori raggiungono il nido. In questa fase della vita essi sono perlopiù ciechi, e la loro richiesta di cibo è una risposta istintiva provocata dal rumore e dal movimento più che dalla vista del cibo in sé.
Il comportamento istintivo può produrre risultati notevolissimi come dimostrano le strutture dei nidi e delle dighe costruiti da alcuni animali. Quando il castoro costruisce una diga, agisce senza conoscere i principi dell’ingegneria, ma realizza la migliore struttura capace di resistere alla pressione dell’acqua[3]. Le api sono in grado di organizzare l’alveare come se fosse un’azienda. Anche il cane domestico sembra avere sentimenti protettivi verso il suo padrone. Rane e rospi imparano rapidamente a evitare gli animali dal sapore sgradevole, i mammiferi imparano a cacciare e a fare molte altre cose dai genitori, apprendono per imitazione. Ma l’uomo, pur non essendo privo d’istinto, è dotato di due elementi che gli hanno consentito di essere portatore di cultura: l’intelligenza che gli consente di mettere insieme l’esperienza, e la coscienza che tiene unite le sue principali facoltà, fisiche, emotive, psichiche ecc.[4] La produzione di cibo è il frutto dell’intelligenza umana che ha facoltà associative e della coscienza in grado di valutare le risorse disponibili per trasformarle in cibo. La profonda correlazione tra ciò che l’individuo mangia e ciò che pensa, anche con la sua salute, il suo carattere, la sua morale, il suo relazionarsi con l’ambiente è frutto della sinergia tra intelligenza e coscienza. Questo spiega le diversità nei caratteri nazionali, nelle organizzazioni sociali e nella stessa gestione delle risorse alimentari e nelle straordinarie varietà nella produzione del cibo.
Dire che cibo, memoria, gusto e piatti tipici caratterizzano contesti sociali differenti è un’affermazione, come dire, squisitamente esatta. Quello che è buono e appetibile per alcuni è disgustoso e detestabile per altri. Insetti, cavallette e lombrichi sono cibi prelibati solo per alcuni milioni di persone. Si sa che l’uomo è un animale onnivoro ed è in grado di mangiare e digerire cibi di origine vegetale ed animale alla stessa stregua. Eppure, la maggior parte degli esseri umani consuma solo poche varietà di prodotti alimentari presenti sul proprio territorio. A Bangkok piacciono i ratti ed è facile trovalri esposti in vendita, magari già cotti o da cucinare a casa. Molti li considerano una prelibatezza, tanto che la loro carne può arrivare a costare più di quella di pollo. A catturarli ci pensano ovviamente dei disperati che, prima che sorga il sole, circondano le loro tane e i passaggi che usano di trappole. La cosa non sembra disturbare le autorità sanitarie tahilandesi e nemmeno gli acquirenti, per nulla preoccupati di sapere da dove vengano e con cosa si siano nutriti per raggiungere le ragguardevoli dimensioni richieste agli esemplari in vendita. Scuoiano il ratto, lo eviscerano, lo cuociono arrostito sul fuoco e lo mangiano. Mentre altre popolazioni evitano di bere latte e lo disprezzano, perché secreto dalle ghiandole di un animale, come è la saliva.*
Alla base delle abitudini alimentari dell’uomo ci sono anche motivazioni di tipo pratico. I cibi presenti nella tradizione gastronomica di un dato luogo, sono generalmente i più validi dal punto di vista ergonomico e nutrizionale (perchè?). Le caratteristiche ambientali delle diverse zone geografiche hanno influito sulle scelte produttive alimentari dei vari popoli, e cibi “selezionati” nelle diverse culture sono anche quelli che si sono rivelati più idonei da produrre ed hanno anche dimostrato di sfruttare al meglio le risorse dell’ambiente in cui sono stati prodotti. Ad esempio le popolazioni con ridotta densità demografica e con un territorio poco adatto alla coltivazione hanno privilegiato un’alimentazione a base di carne; al contrario, popolazioni ad alta densità demografica e con disponibilità di terre adatte alla coltivazione hanno sviluppato un’alimentazione basata sul consumo di vegetali, soprattutto se inserite in un habitat incapace di sostenere i costi energetici dell’allevamento del bestiame.
In pratica, il cibo di cui ci nutriamo è la sintesi tra il nostro territorio, l’agricoltura, l’ economia del territorio e le nostre scelte.
Forse non ce ne rendiamo conto, perché mangiare è un atto, se così possiamo dire, talmente ovvio, che scandisce la quotidianità di ognuno di noi. Ma questa meravigliosa operazione culturale che è la produzione di cibo, che nasce dalla necessità di nutrirsi e trasforma le risorse naturali in prodotti commestibili, racconta, in parallelo, il progresso di tutta l’umanità e la gastronomia rappresenta il prodotto eccelso di questo progresso.
[1] Laurent Gaudè, nella saga degli Scorta, riunisce tutti intorno ad una tavola imbandita di ogni ben di Dio fino… a scoppiare… “ Gli Scorta”, Laurent Gaudè, pag.124-126
[2] Claude Lévy-Strauss, “Il crudo ed il cotto”, il Saggiatore
[3] Fiorenzo Facchini, “Il cammino dell’evoluzione umana”, ed. Joca Book
[4] Ciò che Kroeber definisce il “superorganico”
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