L’Intercultura nel viaggio
Rosa Ermelinda Gaudiano
Antropologa
Etnografia e Geografia del Territorio
Il Viaggio
“Odio i viaggi e gli esploratori”[1]
Uno dei più insigni antropologi, Claude Levy-Strauss, così esordisce nel suo libro “Tristi Tropici”, in cui racconta, con minuziosi particolari, le sue spedizioni.
“Tristi Tropici” è senza dubbio il testo antropologico che forse più di ogni altro, rende concreta ed esplicativa l’esperienza del viaggio, prima dal punto di vista umano e poi dal punto di vista scientifico.
In effetti, il viaggiatore è colui che si muove verso spazi nuovi, talvolta sconosciuti a lui stesso. E questa caratteristica, che è propria di chi soggiorna in luoghi stranieri, nuovi, da scoprire, fa parte della stessa natura umana, che compie continuamente il viaggio nella conoscenza, tanto più ricca quanto più l’identità umana si completa nelle sue diversissime forme .
La meta del viaggio è sempre “altrove”.
Nel corso del viaggio, il viandante turista si trova collocato in una condizione di marginalità[2], è straniero nei luoghi che lo ospitano lungo il suo cammino, e, al tempo stesso, può configurarsi come soggetto debole, verso il quale una comunità omogenea potrebbe esercitare anche violenza.[3]
Questa realtà riguardo lo straniero, vede particolarmente attenta la coscienza religiosa che affida la sua incolumità alla divinità, affinché lo protegga lungo il viaggio.
Viaggiare non sottrae, quindi, alcun turista a situazioni legate strettamente allo spostamento, alla tensione del pensiero che si protende al di là, alla costrizione a forzare, al limite della rottura, quegli strumenti concettuali che consentono di padroneggiare lo spaesamento in un “luogo altro”.
Ma, al tempo stesso, viaggiare restituisce, se così possiamo dire, anche il contrario dello spaesamento, ossia la possibilità di “uscire” dai propri costumi, dai propri modelli culturali.
Emerge così il viaggio come elemento di estrema ricchezza e fecondità di conoscenze e possibilità di modi di relazione per chi, appunto, sceglie di percorrere materialmente e spiritualmente un ulteriore cammino di conoscenze.[4]
Etnografia del viaggio
1.1 Il luogo geografico e la produzione di cultura materiale
Lo spazio geografico ha caratteristiche che definiscono un luogo nei suoi particolari e lo distinguono da un altro luogo.
Ogni insediamento umano si è appropriato di un luogo, nel quale svolge la vita sociale, ed ordina di conseguenza lo spazio.
L’antropologo Goldenweiser sviluppò a proposito dei luoghi e dei territori abitati dall’uomo, una teoria che mette in relazione il territorio e la vita sociale umana.[5]
In effetti, sosteneva lo studioso, non è mai il territorio a plasmare ed indirizzare l’operato dell’uomo, nonché gli usi e i costumi e la vita di un gruppo.
Tuttavia, anche se l’uomo risente dell’influenza dell’ambiente e del territorio, in ogni caso è il territorio il prodotto di una trasformazione operata dagli uomini sulla natura, grazie alle attività economiche, al disboscamento, alle coltivazioni, all’edificazioni di edifici e luoghi di culto.
La teoria di Goldenweiser, spiega molte cose riguardo le diverse identità territoriali. Le caratteristiche del luogo, le aree dominate da tipi particolari di vegetazione, collinose, montagnose oppure marine, o semplicemente pianeggianti, contribuiscono a formare il modo specifico di concepire e rappresentare il territorio da parte del gruppo umano che vi abita.
Il paesaggio è un elemento culturalmente inscindibile da altri aspetti del sistema di pensiero di ciascun popolo: la cosmologia, la mitologia, le tradizioni storiche e popolari, le concezioni religiose, si proiettano sul territorio e vi si radicano, legando strettamente le vicende storiche e le istituzioni sociali con il contesto fisico e geografico.[6]
Il territorio ha, oltretutto, anche funzione di relazioni di scambio, di comunicazione e di potere, segnando punti di passaggio, di confine, e limiti di separazione tra comunità.[7]
Il luogo geografico, nonché territorio, è dunque una scoperta per coloro che lo abitano e pertanto lo rivendicano come proprio. Ha una sua propria identità difesa dal gruppo contro minacce esterne ed anche interne, affinché la stessa identità conservi un senso.[8]
- Le rappresentazioni culturali
I luoghi hanno, dunque, un’identità propria, che è percepibile dalla più svariata produzione di cultura materiale che dà un’immagine ad un luogo, un territorio, una città.
E sono proprio queste “immagini” a creare quel processo grazie al quale percezioni ed idee sono organizzate nella coscienza di chi guarda usando il contenuto del processo rappresentativo come interpretazione personale.
Si creano così rappresentazioni di opere d’arte, di manufatti, di feste popolari, di borghi, di città, di ogni prodotto culturale umano.
In particolare, sono le rappresentazioni collettive a denunciare un’identità definita di un gruppo sociale, tramite espressioni di quei modi che lo identificano nel rapporto con la realtà.
L’Italia in particolare fornisce per i suoi innumerevoli luoghi ricchi di storia, di monumenti ed opere d’arte, di molteplicità d’identità popolari e regionali, un repertorio senza fine di rappresentazioni.
Non fosse altro per le innumerevoli opere d’arte, che a differenza dei manufatti, (oggetti d’interpretazione di localismi), si prestano sempre, proprio per la loro rappresentatività artistica, a differenti e svariate interpretazioni soggettive.
Tuttavia le rappresentazioni culturali, opere d’arte incluse, denunciano nella loro globalità, un significato preciso di un sistema di espressioni, organizzato in un tempo ed in uno spazio, riflettendo anche un senso comune.
Allora, ciò che d’impatto ci si chiede, interagendo con rappresentazioni culturali a noi non familiari, è come scoprire e quindi comprendere in quale modo i produttori di una cultura organizzano il loro mondo di significati.
Questa risposta può essere data solo cercando di comprendere una cultura anche nella sua storicità e quanto più possibile nella sua globalità.
- Identità culturale e cultura materiale
Possiamo affermare che, in un certo senso, la produzione di cultura materiale, (se per essa intendiamo l’insieme degli artefatti di una società, sia quelli connessi alle attività di sussistenza, sia quelli prodotti a scopo ornamentale, artistico o rituale o finalizzati a perpetuare la memoria storica di un luogo o di una comunità), rappresentata in un tempo ed in uno spazio, è una vera e propria forma di scrittura, di linguaggio simbolico, una matrice che ci permettere di identificare il gruppo umano artefice del pensiero della propria cultura, e di tutte le incursioni culturali che di esso ne fanno parte.[9]
Inoltre, ogni produzione di cultura materiale è rappresentativa di un’identità sociale. Ma non solo! In ogni forma di rappresentazione culturale vi è una mediazione tra l’individuale ed il sociale, tra l’oggetto ed il soggetto, tra il privato ed il pubblico.
D’altra parte, le rappresentazioni si definiscono sociali per i seguenti motivi:
– per definizione, e sono delle vere attività del soggetto sociale;
– per la loro origine, in quanto sono prodotte da un gruppo sociale;
– per il loro sviluppo sul territorio, e in questo caso fanno parte integrante del senso comune, e costituiscono un’importante griglia di lettura dell’identità culturale del gruppo umano che le ha prodotte.[10]
L’identità culturale di un gruppo umano rilevabile dall’osservazione della produzione delle molteplici forme di cultura materiale, è intrinseca nel rapporto tra simbolizzazione e interpretazione.
L’oggetto, simbolo d’identità culturale, è elemento che conferisce significato anche ad altri oggetti-simboli prodotti in un determinato spazio e tempo.
Pertanto, ogni forma di espressione di cultura materiale è prodotta in rapporto a forme culturali elaborate e costruite socialmente.
E proprio in base a ciò, la cultura materiale prodotta ha funzioni identitarie nell’esprimere il carattere del gruppo verso l’esterno, assicurando ogni forma di espressione identitaria come propria, nell’organizzazione dell’ambiente, nelle comunicazioni, favorendo non solo l’espressione soggettiva ma anche ogni forma d’azione.[11]
Potremmo anche dire (ma è una pura liceità di comparazione) che anche l’uomo, come l’animale, marca il territorio. La differenza sostanziale è che quest’azione è prodotta culturalmente.
Il territorio
Luogo di rappresentazione d’identità culturale, oggettivamente organizzato e culturalmente inventato.
In Viaggio, alla scoperta del territorio:
1) Lungo la Via Francigena
2) Tra Toscana, Umbria e Lazio: in territorio Etrusco
La Via Francigena
La tradizione cristiana aveva fatto della strada il simbolo della vita.
In effetti, la storia della Via Francigena può costituire la chiave interpretativa di come fosse organizzato il territorio in quel tempo, ed anche dei suoi rapporti tra spazio e centri di potere, tanto da poter essere considerata elemento determinante dello sviluppo produttivo di quel tempo.
L’origine della strada è riconducibile alla necessità dei longobardi di collegare il regno di Pavia con i loro ducati meridionali attraverso un corridoio interno.
La via, in effetti, metteva al sicuro da eventuali colpi di mano dei bizantini che, almeno inizialmente, avevano mantenuto il controllo del litorale toscano, delle coste liguri, e dell’Umbria. Da parte dei Longobardi fu una scelta obbligata l’uso del passo di Monte Bardone, poiché la strada romana che vi transitava collegando Parma e Lucca [12] era rimasta la sola praticabile. Infatti, nessuna delle consolari romane che collegavano l’Italia centrale con la Padania poteva essere praticata per l’intero suo percorso, data la divisione politica della penisola ed il controllo da parte bizantina dei passi orientali dell’Appennino.
Si spiega quindi la ricerca, da parte dei Longobardi, di un passaggio appenninico più occidentale e la valorizzazione di una via che nell’antichità non aveva rivestito particolare importanza.
Queste furono le ragioni per le quali si determinò Monte Bardone a principale “Via di passo” longobarda.
Ora, in particolare si evidenziano alcuni punti della Via Francigena, e precisamente sulla strada che da Lucca, in Toscana, conduce a Siponto nelle Puglie.
Il percorso rappresentativo è esaustivo per quella parte di territorio italiano dove si concentra ancora oggi un consistente pellegrinaggio che si collega anche ad un crescente turismo religioso di massa.
In questo caso, il turismo ha progressivamente acquisito uno statuto sempre più complesso, sino a divenire soggetto “serio”, teso a considerare i lidi del sacro come facenti parte integrante di un’etnicità da scoprire.[13]
Tuttavia, anche se il turismo religioso è prodotto di solito da motivazioni religiose vere e proprie, esso può anche avere un nesso parziale con la meta vacanze, oppure con i viaggi sociali, culturali o di gruppo.
Il “pellegrino” che compie il suo viaggio devozionale, è in ogni caso un turista, che si confronta con ogni sorta di attrazione turistica religiosa, legata alla storia e alla cultura dei luoghi visitati. Il suo viaggio può essere intrapreso per vari motivi: sia di natura spirituale, culturale, ma anche psicologico e sociale.
In questo caso è il simbolismo del “viaggiatore” che assume una connotazione più propria, ossia legato alla ricerca di verità, di pace interiore, ad un tipo di conoscenza capace di dare un senso all’intelligenza umana.
Sin dall’antichità l’uomo ha finalizzato il viaggio all’acquisizione di quelle conoscenze che gli consentissero di rompere gli schemi stereotipati della comune vita quotidiana, tanto da uscire dall’anonimato, di espandersi, di rinnovarsi interiormente e di arricchirsi di nuove esperienze.
Il tratto di territorio della Via Francigena, preso in considerazione e meta ambita dai pellegrini in epoca medioevale, è rappresentativo di una cultura storica, che permette riflessioni retroattive sul passato, e che si presenta al turista senza una sovrastruttura di etnicità costruita, come accade per i luoghi con una densità turistica molto alta.
I Centri più importanti in Toscana, dotati di numerosi ospizi per i pellegrini erano: Lucca, Siena, S. Gimignano, Poggibonsi, S. Quirico d’Orcia, e Radicofani.
Lucca
La città di Lucca ha come simbolo rappresentativo il “Volto Santo”, situato nella cattedrale di S. Martino.
Veneratissima attraverso i secoli, quest’icona è meta di pellegrinaggi che provengono da tutta Europa.
Il “Volto Santo” è un simbolo non solo per la città di Lucca, ma era oggetto di venerazione anche all’estero. Basti ricordare che la sua effigie fu posta sui sigilli dei cambisti e sulle monete di Lucca.
A Lucca è consuetudine rendere omaggio al “Volto Santo” ogni anno, il 13 Settembre, con una caratteristica processione, la “Luminara”.
S. Gimignano
Il paese crebbe proprio come centro di mercato lungo la Via Francigena.
In concomitanza allo sviluppo del paese, fu intensificata l’urbanizzazione attorno alle due piazze attigue nel cuore della città: Piazza del Duomo, riservata alle funzioni religiose e civili, e Piazza della Cisterna, riservata alle funzioni economiche e mercantili.
La facciata della Parrocchiale, chiesa medioevale.
Poggibonsi
Altra tappa di grande importanza con la Basilica di San Lucchese (sorta sull’antica chiesa di S. Maria in Capaldo) e la Magione di S. Giovanni al Ponte (antico Spedale Gerosolimitano).
Siena
La storia della città di Siena è legata a quella della strada di Monte Bardone ed in seguito alla Via Francigena, lungo la quale divenne uno dei principali centri, ed è proprio a questo grado d’importanza che Siena deve il suo più concreto sviluppo durante tutto il Medioevo.
In epoca medioevale, l’edificio dello Spedale di S. Maria della Scala, fu una vera e propria istituzione di grande influenza nella zona senese.
Oggi, lo Spedale è uno dei più interessanti musei da visitare nel capoluogo toscano.
S. Quirico d’Orcia
Il Luogo già nell’antichità aveva un ruolo importante per la sua posizione strategica, ed anche perché considerato una “stazione” ragguardevole della Via Francigena.
Insediamento etrusco, si sviluppò intorno alla Pieve di S. Quirico in Osenna da cui il paese prende il nome.
Ancora oggi conserva gran parte della cerchia muraria, con 14 torrette e la singolare porta orientale.
Radicofani
E’ stato uno dei centri più importanti lungo il percorso della Via Francigena.
Fu anche, sempre in epoca medioevale, feudo dell’importante Abbazia regia di S. Salvatore sull’Amiata.
Oltre a questi centri considerati fra i più stazionati lungo la Via Francigena, altri, quali:
Gracciano
Il guado della Via sul fiume Elsa
Monteriggioni
(Già Dante fu colpito da questo borgo strategico, fortificato, di forma anulare: “…sulla cerchia tonda / Monteriggioni di torri si corona…”.[14] Luogo di una singolarità affascinante, fu fondato nel 1200 dalla Repubblica Senese per sbarrare la via Cassia ai fiorentini. Ancora oggi conserva le sue caratteristiche medioevali),
Posta a Ricorsi – Val d’Orcia
Antica tappa di ristoro per pellegrini e cavalieri
Sorano
Acquapendente
Montefiascone
Viterbo
e Roma
costituiscono punti d’importanza storica che strutturano il percorso lungo il tratto cha da Lucca va verso Roma e continua poi verso la zona meridionale della Campania e delle Puglie, attraverso la Via Appia-Traiana passando per Benevento, fino a Brindisi per l’imbarco per Gerusalemme, e che da Benevento, attraverso la Via Sacra Longorbardorum si spingeva verso Monte S. Angelo.
La Via Francigena in Puglia
Monte S. Angelo (La Montagna sacra), una delle stazioni più importanti lungo il percorso nel meridione d’Italia.
Durante il Medioevo la città sul monte, Monte S. Angelo, costituì una tappa fondamentale nel lungo snodarsi del viaggio di pellegrini e penitenti in cammino da e per la Terrasanta.
La vicenda singolare della città-santuario è da attribuire all’apparizione dell’Arcangelo Michele sulla vetta garganica, che trasformò l’antico luogo di culto pagano in un fulgido centro di religiosità cristiana.
L’abitato si sviluppò proprio in funzione del sacro luogo, fino ad essere arricchito di chiese ed ospizi.
Il perdurare di culti pre-cristiani, la diffusione d’insediamenti eremitici in grotte, l’espansione del fenomeno monastico, la rinnovata vitalità della diocesi, si articolarono di pari passo con una sempre più crescente spinta di natura economica, sociale, politica e culturale.[15]
In effetti, tutto era collegabile al fatto che alla montagna sacra conduceva la grande via che collegava Troia a Siponto, documentata nel sec. XI come Via Sacra Longobardorum, e nel XII sec. nota, nel tratto terminale che passava per il Candelaro, come strada peregrinorum. [16]
Il santuario di Monte S. Angelo, meta millenaria di pellegrini, ancora oggi “vive e lavora” nell’ambito di una cultura contadina in via di trasformazione nella quale persistono comportamenti legati a rapporti di produzione pre-capitalistici. In un ambiente così strutturato, il sentimento religioso è parte integrante della cultura del luogo, e lo stesso turismo religioso trova una collocazione giusta ed anche sicura.
Oltre a Monte S. Angelo, che è il centro più ambito dal turismo religioso, gli altri centri considerati altrettanto importanti nella struttura del percorso della via Francigena nel Meridione, sono:
Troia
Stignano
S. Matteo
Pulsano
S. Leonardo di Siponto.
Tra Toscana, Umbria e Lazio: viaggio in territorio Etrusco
La storia degli Etruschi è espressa in maniera unica e singolare nelle opere di artigianato che questo popolo ha abbondantemente lasciato, nella zona territoriale denominata Etruria, a testimonianza della loro cultura e civiltà.
L’estensione del territorio etrusco coincide sostanzialmente con quello della regione che fu chiamata, dagli antichi, Etruria.
In quest’accezione va considerata non solo la fascia costiera tirrenica ma anche tutto il retroterra fino alla valle del Tevere e alle pendici dell’Appennino Tosco-Emiliano.
A dimostrazione di ciò c’è da un lato l’impronta unitaria della lingua documentata dalla diffusione delle iscrizioni etrusche fin dal loro primo apparire alla fine del VII secolo, dall’altro lato il carattere inconfondibile degli aspetti culturali a partire dal villanoviano e per tutti i loro successivi sviluppi, in piena coincidenza con l’univoca tradizione antica sulla appartenenza di questi territori e dei relativi centri. [17]
Ogni progresso avvenuto dalle coste verso l’interno si spiega non già con l’idea di una penetrazione etnica, ma con le concrete ragioni storiche di una penetrazione d’impulsi economici e culturali provenienti dai centri marittimi più direttamente esposti a sollecitazioni esterne.[18]
Anche se con minore concentrazione ed intensità, gli insediamenti interni partecipano in pieno e vigorosamente allo sviluppo dell’Etruria arcaica.
La cultura e la civiltà villanoviana (i villanoviani, popolo di civiltà evoluta dell’età del ferro), che costituiscono in maniera determinante l’identità della popolazione etrusca, ebbero il loro sviluppo tra il IX e l’ VIII a.C., e costituirono le basi della continuità culturale, topografica ed aerale di quella realtà storica che, appunto, chiamiamo Etruria.
Tuttavia, gli Etruschi sono diventati popolo, nel senso reale della parola, solo in territorio tosco-umbro-laziale, e si può affermare con certezza, che costituirono la prima grande civiltà italiana di epoca storica.
Il cuore dell’Etruria si collocherà in quella zona che derivò dall’evoluzione dalla pregressa civiltà villanoviana, vale a dire Tarquinia, Vulci, e Veio.
Il cambiamento culturale lento e graduale che si ebbe con il passaggio dalla cultura di Villanova a quella Etrusca, si deve in maniera decisa a quelle incursioni culturali orientali e greche che diventarono elementi costitutivi dell’identità culturale dell’Etruria.
La civiltà etrusca nasce e si sviluppa intorno ai secoli IX e VIII a. C. fino a tutto il sec. VI a. C.
Ancora oggi, percorrendo la strada che dall’alto Lazio arriva in Toscana, ci è possibile conoscere attraverso la scoperta di preziosi reperti storici, iconografie e manufatti, il valore, l’intelligenza e l’arte espressa nelle sue forme più sublimi e ricercate, di una popolazione che vide il suo tramonto solo nell’ultimo secolo prima di Cristo.
Viaggio in Etruria
Il territorio etrusco si estendeva principalmente in Toscana, Umbria e Lazio, ma comprendeva anche vaste zone dell’Emilia-Romagna e Lombardia.
Il nostro viaggio ideale toccherà le principali località della Toscana e Lazio.
Roselle
Solchi di carri sull’antica via
Via di accesso all’antica città
Vulci
Una delle più grandi città-stato dell’Etruria.
Il monumento più suggestivo di tutta l’area è il grandioso ponte detto “dell’Arcobaleno” (I sec. a.C.) che scavalca (30 m. di altezza) il Fiora presso il medievale castello della Badia (XIII sec).
Rinomati nell’area mediterranea ed europea i suoi bronzi. Molte le botteghe di orafi, scuole di ceramisti e di scultori locali che si aprono agli influssi culturali esterni rielaborandoli in maniera attiva e personale.
La Tomba François rappresenta senza dubbio il più grande patrimonio artistico storico e culturale di Vulci e una delle più importanti testimonianze che ci sono state tramandate dagli Etruschi.
Nestore
Ad Arezzo fu ritrovato uno dei più famosi reperti La Chimera, ora a Firenze.
Il bronzo raffigura un animale maschio con nome femminile. Al muso è leone e alla coda è serpente. Quest’ultimo insidia e molesta, non visto dal leone, una capra sorgente dalla schiena.
E’ il male che insidia il bene, è la malizia che prevale sull’innocenza.
Caere (Cerveteri)
Splendido il sito della Banditaccia con le caratteristiche tombe a tumulo.
Dall’area C del Santuario di Pyrgi (vicino Caere) provengono le tre famose lamine auree iscritte (ora conservate al Museo di Villa Giulia). Le lamine formavano un trittico, costituito da una coppia “bilingue”, in etrusco e in fenicio, e da una terza in etrusco. Al momento della scoperta, avvenuta l’8 luglio del 1964, le lamine giacevano, avvolte in un pacchetto, in una specie di ripostiglio posto sotto il pavimento di una piazza; tale piazza è stata ottenuta con materiali di spoglio del demolito tempio B. La coppia “bilingue” (la corrispondenza riguarda il contenuto, non la forma linguistica) commemora la dedica ad una dea chiamata Astarte in fenicio e Uni in etrusco di un luogo di culto sacro (tmia in etrusco) e di una statua della dea. Autore della dedica, per riconoscenza verso la dea, è Thefarie Velianas, re su Caere, nel terzo anno del suo regno.
Caratteristica peculiare della ceramica etrusca, e di Caere in particolare, era il bucchero, fabbricato con un particolare sistema d’impasto, di cottura e colorazione. Il bucchero è una ceramica a base di argille molto raffinate, a grana fine e ricche di ferro. Fragile e porosa, di colore nero o grigio scuro, diventa brillante se lucidata a stecca. Si cuoceva in ambiente fumoso ed in mancanza di ossigeno, la porosità dell’oggetto veniva ridotta perché si impregnava delle particelle di carbone, mentre avveniva la trasformazione chimica dei composti ferrici rossi in ferrosi neri parzialmente vetrificati,
A Sovana, splendida cittadina medievale, troviamo i resti della tomba Ildebranda, che prende il nome dal papa Gregorio VII, al secolo Ildebrando di Sovana, interamente scavata nella roccia senza alcun riporto
e di camminamenti scavati a mano nella roccia.
Veio è la città etrusca più vicina a Roma, da cui non distava che 17 km.
L’Apollo di Veio è uno dei capolavori più citati, descritti e ricordati tra i Beni Culturali dell’Umanità, simbolo dell’arte antica ed emblema nel mondo della cultura del popolo etrusco. Celebre per il suo sorriso,è alto circa 1,80 m. Di là delle somiglianze e dei nomi, questa statua è in possesso dell’anima etrusca. L’Apollo di Veio, infatti, non ha niente a che vedere con la divinità greca che conosciamo; è, invece, un dio spietato e implacabile, una forza della natura che si avventa con veemenza, quasi con brutalità, contro Ercole, suo avversario per il possesso della cerva Cerinite.
Il nostro Viaggio termina a Tarquinia una delle principali città del mondo etrusco che ci offre le sue splendide tombe attraverso le quali possiamo penetrare nella cultura di un popolo che come vediamo affronta anche l’al di là con la gaiezza che costituiva parte integrante della sua cultura.
Un ultimo sguardo alle splendide opere che ci fanno apprezzare l’evoluzione di questa civiltà sia in campo artistico che artigianale, in quello orafo ed in quello della medicina.
Peccato che non tutti i segreti di questo popolo siano ancora stati svelati. In particolare quello della lingua il cui alfabeto ha in ogni caso già rivelato di essere stato il precursore di quello romano.
Conclusioni
Funzione e finalità del “Viaggio Etnografico”
La funzione del “viaggio etnografico” va posta in relazione con il territorio, che mette in luce l’enorme plasticità della natura umana, ed anche la flessibilità dell’ordine culturale e la relatività culturale di ogni comportamento espresso dalle svariate forme d’umanità che hanno dato un’impronta soggettiva ai territori dimorati.
Il territorio, allora, si delinea come una forma di vita, come pura espressione umana, come luogo di accoglienza e di dimora.
Sempre Levy-Strauss, sostiene che ciò che permette l’identificazione di un gruppo umano è la struttura logica del pensiero di quel gruppo, nonché l’analisi delle sue manifestazioni culturali e della produzione di un certo tipo di cultura materiale in un tempo ed in uno spazio, delle concezioni abitative, delle credenze e dei miti.[19]
Se il viaggio rappresenta anche un bisogno di oltrepassare il limite della propria finitezza, un percorso che ci permette di entrare in uno spazio di libertà, di disordine mentale, paragonabile al mutamento, e vita che scorre attraverso la coscienza grazie alla conoscenza di luoghi ignoti, allora il viaggio è mettersi in continuo contatto con l’Alterità.
Il disordine iniziale che si manifesta nel viaggio, si ricompone alla fine in una categorizzazione delle conoscenze acquisite, inserite in uno schema di sintesi dei luoghi visitati, che permette di scoprire appartenenze o differenze culturali storiche.
Il viaggio etnografico lo definirei come un percorso intenso di conoscenze culturali a noi magari sconosciute, che ci permettono un confronto, un arricchimento, riformulando, nel contempo, la nostra identità, che, come viaggiatori, viene scossa, ed anche messa in discussione.
Allora, il “viaggio”
avrà raggiunto in pieno la sua finalità e la sua funzione!!
[1] Levy-Strauss, Tristi tropici, Milano, il Saggiatore
[2] Secondo Van Gennep, da un punto di vista sociale, vivere è un processo continuamente scandito da movimenti di separazione-aggregazione, di uscita-entrata. Cfr. A. Van Gennep, I Riti di Passaggio, Boringhieri, 1981
[3] Cardona G. R., I linguaggi del sapere, (a cura di), Bari, Laterza, 1990
[4] Moscato M, T., Il Viaggio come metafora pedagogica, Introduzione alla pedagogia interculturale. La Scuola, 1994
[5] Goldenweiser A., History, Psychology and Culture, New York, 1933
[6] Turri E., Antropologia del paesaggio, edizioni Comunità, 1974
[7] Condominas G., L’espace social, edit. Paris, 1980
[8] Augè M., I non luoghi, Eléuthera, 1996
[9] Geetz C., Antropologia Interpretativa, Il Mulino, 1988
[10] Jodelet D., Les Représentations sociales, edit. Paris PUF, 1989
[11] ibidem
[12] Lopez Pegna M., Itinera Etruriae, in “Studi Etruschi”, 1950
[13] Simonicca A., Antropologia del turismo, strategie di ricerca e contesti etnografici, Carocci, 2001
[14] Divina Commedia (Inf., XXXI, 40-41)
[15] Petrucci A., Aspetti del culto e del pellegrinaggio di s. Michele Arcangelo, Atti del convegno, Todi, 1963
[16] Bronzini G., B., La Puglia e le sue tradizioni in proiezione storica, Archivio storico pugliese, fac. I-IV, 1968
[17] Torelli M., La storia degli Etruschi, Laterza, 2001
[18] Torelli M., Etruria e Sicilia, Guide Archeologiche, Laterza, 2000
[19] Levy- Strauss C., Il Crudo e il Cotto, Il Saggiatore, 1966
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