La Svizzera del ‘900 e il popolo Jenisch, tra potere e crudeltà
Forse si deve proprio a Valentina Pedicini, autrice del film denuncia “Dove cadono le ombre”, la conoscenza di un abuso perpetrato dal governo svizzero nei confronti del popolo Jenisch.
Fu solo nel 1986 che il Consiglio Federale Elvetico chiese ufficialmente scusa in nome della Confederazione Svizzera per essere stato artefice della sistematica oppressione del popolo Jenisch, gruppo nomade, terzo in estensione dopo i Rom ed i Sinti. Questi ultimi, originari dell’India settentrionale, di etnia romanì, stabilitisi in Europa durante il medioevo, si differenziano dagli Jenisch che invece sono di origine germanica. Gli Jenisch hanno una propria lingua con influenze yiddish e celtiche e si caratterizzano per usi e costumi propri, tanto da essere conosciuti come zingari bianchi.
Gli Jenisch sono presenti sul territorio tedesco, svizzero, austriaco ed anche francese. Popolo perseguitato già dal 1500, momento del loro insediamento sul territorio europeo, gli Jenisch subirono sempre atteggiamenti xenofobi e di disprezzo, con fenomeni di forte emarginazione dal contesto sociale che li ospitava.
Ma ciò che è raccapricciante è l’aver appreso che questo popolo dal 1926 sino al 1975 fu oggetto di persecuzioni in nome di quella subcultura eugenetica, diffusa durante la Germania nazista, che prevedeva un programma di intenti umanitari attraverso la cosiddetta istituzione governativa “Opera di assistenza per bambini di strada”. L’intento di questo programma, che ebbe come fondatore Alfred Sigfried, professore di ginnasio, poi espulso per pedofilia, era quello di sottrarre al nomadismo ed anche alla presunta criminalità connessa, i bambini di etnia Jenisch.
Insomma, una vera e propria “pulizia” di un sistema culturale legato a questa etnia. Si doveva intervenire sui bambini, ritenuti affetti da tare psichiche e dediti a traffici illeciti, delinquenti perché vagabondi senza regole, separandoli da genitori e fratelli per attuare una completa e totale rieducazione presso famiglie affidatarie oppure presso cliniche psichiatriche, orfanotrofi e case di detenzione.
Chi finanziò in toto questo scellerato programma fu, per l’appunto, il Governo svizzero, attraverso i sostenitori di una “buona causa” aderenti alla Pro Juventute che è tutt’ora un organismo che si pone a sostegno di un’infanzia felice e responsabile. All’epoca alla Pro Juventute si affiancarono altri centri assistenziali e associazioni cattoliche.
I bambini ed adolescenti Jenisch sottratti alle proprie famiglie subirono abusi, violenze e maltrattamenti. A chi veniva conferito il potere di “rieducare” queste vittime, veniva automaticamente elargita la liceità di praticare su questi soggetti sevizie disumane ed addirittura mutilanti. Tutto questo durò fino al 1975, anche se Teresa Wjss, una madre Jenisch a cui vennero sottratti ben cinque figli, denunciò la Pro Juventute al Tribunale Federale già nel 1970. La denuncia della donna fu praticamente archiviata senza neanche essere presa in considerazione.
Se questi inauditi misfatti contro l’etnia Jenisch sono pian piano venuti alla luce del sole, si deve solo alla tenacia di pubblici personaggi svizzeri, come il politico jenisch Robert Huber, ,che da bambino, venne sottoposto al programma dei Bambini di strada e che non ha mai cessato di denunciare queste atrocità fino alla sua morte avvenuta nel 2016.
Ma la testimonianza più forte ed incisiva si è avuta con l’autobiografia di Mariella Mehr, scrittrice jenisch, che nel suo libro “La Bambina”, racconta come, all’età di cinque anni, fu sottratta alla madre e passò ben ventiquattro anni tra affidamenti, istituti psichiatrici dove la cura era l’elettroschock, e carcere, subendo ripetute violenze ed abusi sessuali. Fino a che, all’età di diciotto anni dopo aver partorito un figlio che le fu sottratto, fu sottoposta alla sterilizzazione di routine.
Gli archivi della Pro Juventute ora sono pubblici. In Svizzera oggi vivono oltre 35.000 Jenisch , la maggior parte nel Canton Grigioni. Di questi solo 5000 sono ancora nomadi.
Approfondimenti sui fatti:
Mariella Mehr, “La Bambina”, 2006 ed. Effige
Cinema:
“Nebbia ad agosto” di Kai Wessel
(La storia vera di Ernst Lossa, una delle tante vittime jenisch del programma nazista di eutanasia)
“Dove cadono le ombre” di Valentina Pedicini
(Due donne, che si sono conosciute in un passato non troppo remoto, s’incontrano, una è vittima e l’altra è carnefice)
molto interessante e, praticamente sconosciuto alla stragrande ..maggioranza della gente.Problema, sempre male affrontato dagli “Stati cosiddetti …. Civili e, Democratici”
Buongiorno, la ringrazio per la sua attenzione ad un argomento veramente sconosciuto, come Lei ppunto dice. Invece sono situazioni che andrebbero divulgate